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I racconti dell'olio n.1 - La storia di Janni

Posted 2 Agosto by Olio Conte Racconti 0  Comments

Era una  notte  eccezionale: con un cielo infinito, cupo, brontolone come un vecchio  stizzito, ed un vento sferzante raffiche improvvise e violente. Tale collera incombeva sul paese dal nome gioioso, ben augurale, abitato da gente che aveva imparato ad occuparsi dei fatti propri senza dimenticarsi degli altri: Petali di rose. Le persone lavoravano senza sosta ed erano arrivate a realizzare un villaggio fatto di case confortevoli e belle. Se vivevano in condomini  gli edifici erano piccoli e gli abitanti erano gentili gli uni verso gli altri, infatti si aiutavano volentieri, consapevoli di vivere in un’isola felice. Il nome del paese  derivava da una delle occupazioni dei residenti: la coltivazione di rose  da cui estrarre l’essenza destinata a profumi, prodotti di bellezza e alimentari. In primavera il territorio era un tripudio di fiori dai colori invitanti al buon umore. Non esisteva disoccupazione perché tutti lavoravano nei campi, nelle distillerie o nei frantoi della zona.

Ogni casa aveva il suo giardinetto ornato da cespugli di splendide rose: candide, screziate, dalle mille sfumature replicanti i colori dell’arcobaleno. Intorno ai campi una fascia di olivi secolari isolava visivamente il paese dal resto del mondo. Alberi maestosi, plurisecolari, con chiome gigantesche e fusti enormi, si ergevano a guardiani del luogo e del tempo. Spesso i bambini giocavano a nascondino infilandosi nei tronchi cavi e nodosi, in cui era difficile scovarli. Alcuni esemplari erano talmente grandi che ci volevano quattro persone per abbracciarli, ad essi i piccoli avevano dato nomi come a persone da cui si sentivano protetti: Duccio, Aldo, Nello, Peppe, Lapo, Dino, Berto, Cecco… Spesso le case erano abbellite da bouquet di rose unite a rametti di ulivo, ed a Natale sulla trave della porta d’ingresso di casa era appeso un ramo d’ulivo, sotto il quale  le persone si scambiavano gli auguri. I guardiani della valle rinnovavano costantemente il loro aspetto con gli acquazzoni primaverili, che conferivano alla chioma nuova vivacità e lucentezza, infatti quei giganti sembravano acquistare forza e bellezza. Se in primavera ci si occupava soprattutto delle rose in autunno e in inverno si raccoglievano le olive per produrre olio extravergine. Gli abitanti conoscevano bene la fatica che ci vuole per produrre olio buono, tanto che lo chiamavano “lacrime verdi”. Erano in grado di riconoscere tutti gli aromi presenti nell’olio, che rimandavano alla loro terra quando riposava libera dalle coltivazioni: cardo selvatico, cicoria agreste,  fiori di campo… In quella comunità viveva un giovane un po’ strampalato, perché era solito passare dalle chiacchiere esagerate al silenzio riflessivo, il quale non si accontentava di vivere lì ma sognava di andare per il mondo e conoscere altre persone, altri modi di vivere: Janni. Quella notte decise di partire, lasciando un semplice messaggio alla famiglia: vado per il mondo, tornerò ricco. Uscito di casa incontrò poche persone che salutò con calore, confidando loro ciò che stava per fare e aggiungendo che un giorno sarebbe tornato. Janni amava la vita e quella del suo paese gli stava un po’ stretta. Non la disprezzava ma non gli bastava. Aveva con sé i propri risparmi e poche cose, tra le quali una bottiglietta di olio extravergine dell’ultima stagione ed una con essenza di rose, per ricordarsi della sua terra. Sapeva perfettamente dove andare: doveva semplicemente seguire il vento del nord.  Quella sera da lupi andò via, intirizzito dal freddo ma con il cuore caldo per ciò che stava per fare. Arrivò in una città che a lui parve grande ma grigia e monotona. Il cielo confondeva il proprio scialbo aspetto con quello delle case, tutte uguali e insignificanti. Janni si chiese come vivesse la gente in quel posto triste e decise di fermarsi. Girò per le strade in cerca di una locanda, ma vide solo posti squallidi che gli trasmisero ansia. Allora prese la boccetta con l’essenza di rose e aspirò delicatamente, trovando nuova forza per proseguire dal richiamo della sua bella  terra. Dopo un po’ vide una casa con un cartello: si affittano camere. Suonò il campanello e venne ad aprire un omone dall’aspetto bonario. Ciò lo rincuorò e chiese una stanza. In casa trascorreva poco tempo perché preferiva uscire per la città a parlare con le persone, ma presto si accorse che tutti avevano fretta e nessuno gli dedicava del tempo. Le facce erano serie ed assorte nei propri pensieri. Janni, però, con tenacia continuava a fermare le persone, sicuro che la scorza che le rivestiva si sarebbe rotta. Quando la sera era in camera spesso sentiva singhiozzi e pianti provenire da una stanza, mentre  altre erano dominate da un gran baccano rabbioso, dovuto a litigi spaventosi: erano due fratelli, figli dell’omone bonario, che bisticciavano invidiosi l’uno dell’altro, e che il padre non riusciva a far ragionare. Una sera, stanco di quell’infelicità diffusa nella casa, prese le sue preziose boccette ed andò nella camera da cui proveniva il pianto. Vide una bella ragazza, seduta sul letto, con il viso rigato di lacrime: Olimpia. Colpito da tanta pena le chiese perché piangesse. Lei gli rispose che si sentiva grigia, vecchia, trasparente, perciò non sapeva cosa fare per attirare l’attenzione del ragazzo di cui era innamorata. Janni le chiese quando doveva uscire  per vedere l’amato e, alla risposta di lei che stava per farlo, le mise sul collo due gocce di essenza di rose ed il suo viso si rasserenò ed illuminò. Poi, sentendo ancora urla, andò in cucina, prese del pane fragrante, lo fece a fette e lo irrorò del proprio olio. Quindi con voce decisa, che non permetteva rifiuti, chiamò Mimmo ed Oreste e fece loro mangiare una fetta  di pane con l’olio. Sentendo gli aromi sprigionati da quella semplice pietanza i due si rasserenarono e dimenticarono il loro dissidio. A Janni parve di scorgere nei loro occhi un lucore con una sfumatura verdognola e  da quella sera capì di avere una missione: diffondere armonia e pace con il suo olio. 
                                                                                                          A.R.G.

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